Avete letto la prima puntata di Pomi d'ottone e messaggi segreti? Siete riusciti a decifrare il misterioso messaggio segreto che Jupiter Jones ha trovato, nascosto in una vecchia testiera di letto d'ottone? E lui, ci sarà riuscito? C'è da dubitarne? Lasciamo di nuovo la parola ad Arthur Robertson per il seguito del racconto!
2
Con gran sforzo Pete strisciò fuori dal letto e si infilò i vestiti. Entrò in cucina sbadigliando, e lì trovò suo padre che faceva colazione.
– Ciao, papà!
− Ben alzato, Pete. Siete di nuovo in caccia?
− Intendi noi, i Tre Investigatori?
Il signor Crenshaw annuì, sorseggiando una gran tazza di caffè.
− In effetti sì. Da ieri abbiamo una nuova indagine.
− Lo immaginavo. Jupiter ha telefonato circa mezzora fa. È mattiniero quel ragazzo.
− Jupiter? Cos’ha detto?
− Le solite cose alla Jupiter Jones, − disse il signor Crenshaw frugandosi le tasche. − Me lo sono scritto. È un messaggio in codice, credo.
− Fammi vedere, papà! − fece Pete impaziente.
− Ecco qui, − fece suo padre porgendogli un foglietto. Pete lo afferrò e lesse:
Decrittazione riuscita. Entrata verde.
– Wow! Jupe è proprio un genio! Devo andare, papà!
− Ok, ma prima finisci la colazione!
– Non ho tempo!
– Dammi retta! Si ragiona meglio a stomaco pieno, specialmente i ragazzi, e a giudicare dal fisico di Jupiter, direi che anche lui sarebbe d’accordo con me. Forza!
Pete sbuffò: – Prenderò un po’ di latte e cereali, allora.
Mangiò in fretta, poi si ritrovò ad annusare il piatto di frittelle con pancetta che il padre gli posò sotto il naso.
– Beh… tutto sommato... forse hai ragione tu, papà. Si lavora meglio con la pancia piena.
Suo padre sorrise. Pete fece fuori due piatti di frittelle, poi finalmente schizzò via. Saltò in bici e pedalò vigorosamente. Alle 9 del mattino raggiunse il recinto di legno della Bottega del recupero.
Il recinto era stato decorato da artisti locali. Vicino a un angolo era raffigurata una nave che affonda in un mare verdastro. Un pesce, verde anche lui, affiorava per godersi lo spettacolo. Pete premette l'occhio del pesce e un pannello cadde all’indietro: quella era l’Entrata Verde del covo dei Tre Investigatori!
Pete si infilò nell’apertura e si ritrovò nel laboratorio all’aperto di Jupiter Jones. Lasciò la sua bici accanto a quelle dei suoi due compari, che a quanto pareva erano già lì. Sollevò una grata che sembrava perennemente appoggiata lì per caso, e strisciò nel lungo tubo corrugato, troppo stretto per un adulto. Era quello il Tunnel Due, che passava sotto la muraglia di rottami fino a raggiungere una vecchia roulotte, di cui alla Bottega del Recupero ormai tutti si erano dimenticati, e che i Tre Investigatori avevano eletto a loro quartier generale segreto. Alla fine del tubo Pete sbucò da una botola nella stanzetta, che era ammobiliata e ben fornita di tutte le attrezzature utili per il lavoro investigativo dei ragazzi.
– Pete, Pete! − disse Bob. − Jupiter ha decifrato il messaggio!
Lo spilungone raggiunse i due compagni alla piccola scrivania. Jupiter era raggiante.
− Sì. − Confermò Jupiter Jones. Non potevo dormire, così mi ci sono dedicato stanotte, anziché stamattina, come avevo pensato di fare in un primo momento. Poche prove sono bastate a farmi capire che in realtà si tratta di un codice molto semplice.
− Per te è sempre tutto molto semplice! − commentò Pete.
− Stavolta lo è davvero. D’altro canto, a scrivere il messaggio è stato un bambino di sette anni!
− Sette anni? − si stupì Pete.
− Sì. E ha usato un codice davvero elementare: una sostituzione di lettere. È un metodo di crittografia usato fin dall’antichità, in cui ogni lettera viene sostituita da un’altra lettera, che si trova ad alcune posizioni di distanza nell’alfabeto. In questo caso si tratta della lettera precedente.
− Vuoi dire A al posto di B, B al posto di C, e così via?
− Proprio così.
− E al posto della A?
− La Z, naturalmente!
− E cosa dice il messaggio?
Per tutta risposta Jupiter porse al secondo investigatore un foglietto:
AIUTO! MI CHIAMO BILL, HO 7 ANNI, SONO TENUTO PRIGIONIERO DA UNA BANDA DI CRIMINALI AL KM 12 DI CORMORAN ROAD MAGPIE HILL
− Caspita! − mormorò Pete. − Si tratta di un bambino rapito? Dobbiamo avvisare la polizia!
− Ho già telefonato al Comandante Reynolds. Non gli risulta che sia in corso alcun rapimento in California. Per di più attualmente non ci sono bambini di nome William, né di quell’età, nelle mani di rapitori, in tutti gli Stati Uniti. Secondo lui si tratta semplicemente di uno scherzo.
− Uno scherzo? Ma gli hai parlato del signor Seagull, e della sua impazienza di mettere le mani sulla testiera del letto?
− Non ho fatto in tempo. Ha detto che non aveva tempo da perdere. Sembra che adesso abbiano molto da fare con una banda di abili falsari. Non mi ha dato granché retta, e ha attaccato quasi subito.
− E allora? Cos’hai intenzione di fare?
− Neanche noi abbiamo molto tempo da perdere, visto che la scuola riapre lunedì prossimo, − rispose Jupe. − Perciò andremo lì oggi stesso a dare un’occhiata.
− Oh, no!
− Cosa succede, Pete? Cosa c’è che non va? − chiese Bob, preoccupato.
− Ma dovevi proprio ricordarmi che tra poco si torna a scuola, Jupe?
Il camioncino condusse i ragazzi fuori città, a Nord di Rocky Beach. Magpie Hill era una zona poco popolata, sovrastata da un’ampia collina. Cormoran Road era un lungo viale che si inoltrava nella campagna.
− Siete sicuri che il posto sia proprio questo, ragazzi? − chiese Konrad, mentre assieme al fratello Hans aiutava i ragazzi a calar giù le bici dal rimorchio.
− Sì, grazie mille! − rispose Jupiter. − Da qui proseguiremo da soli.
− Jupe, abbiamo un lavoro da fare a Malibù, per conto di tuo zio, ripasseremo da qui al ritorno, soltanto verso le sei del pomeriggio, più o meno, − disse ancora Konrad. − Se vi fate ritrovare qui, vi riporteremo indietro con noi. Altrimenti significherà che vi siete arrangiati da soli. Ma se lo fate dovrete pedalare fino a Rocky Beach, e sono parecchi chilometri!
− Non preoccupatevi per noi: in ogni caso da qui la strada è agevole, oltre che quasi tutta in discesa.
Pete e Bob sorrisero. Quando c’era un’avventura da affrontare, Jupiter tirava fuori un atletismo insospettabile.
Una volta che il camioncino con i due fratelli bavaresi fu ripartito, i ragazzi inforcarono le bici e iniziarono a pedalare lungo Cormoran Road.
− Siamo fortunati! − disse Bob indicando un segnale di cemento a bordo strada. − Lì dice: chilometro 7. Evidentemente Cormoran Road non inizia qui. E questo vuol dire che abbiamo da fare in bicicletta sette chilometri in meno del previsto.
− Coraggio, però, diamoci una mossa! − disse Jupiter. − Al chilometro 12 ci aspetta qualcuno che ha bisogno d’aiuto.
Ma mentre proseguivano verso la campagna, le case si diradavano sempre più, e anche la strada diventava più stretta e mal tenuta. Arrivati al fatidico km 12, furono stupiti di non trovare un bel niente. Proseguirono ancora, ma c’erano solo frutteti, pascoli e campi incolti.
− Jupe, − disse Pete. − Qui siamo in aperta campagna. Com’è possibile?
− Non so. Proviamo a tornare indietro di un po’. Mi pare di aver visto un sentiero poco fa.
In effetti, poco prima del segnale di cemento che indicava il dodicesimo chilometro, un viottolo laterale poco visibile si inoltrava in un boschetto.
− Sarà quello? − domandò Bob, dubbioso.
− Deve esserlo! − disse Jupiter.
Dovettero condurre le bici a mano. Poco dopo si ritrovarono in una piccola radura. Lì terminava il viottolo, e non vi era traccia di altri sentieri.
− Dannazione! − fece Jupiter. − Dove abbiamo sbagliato? Ricordo perfettamente l’indirizzo, diceva: chilometro 12!
− Me lo ricordo anch’io, − disse Pete. − Ricordo pure il biglietto cifrato: in mezzo a tutte quelle lettere incomprensibili, si leggeva chiaramente il numero 12, assieme al 7 degli anni del piccolo Bill.
− Sono un idiota! − sbottò Jupiter dandosi una manata sulla fronte. − Evidentemente anche i numeri erano cifrati!
− Vuoi dire che... Il bambino ha in realtà 8 anni e non 7?
− Sì. E si trova al chilometro 23 e non 12!
− Allora sarà bene tirar fuori le borracce e bere un po’ d’acqua, − disse Pete. − Abbiamo ancora ben undici chilometri da fare!
Il nuovo indirizzo corrispondeva a una vecchia villa isolata, molto lontana dalla strada. Aveva i muri scrostati e un giardino incolto, circondato da una rete metallica malandata. I tre lasciarono le bici poco lontano, nascoste in un boschetto, si avvicinarono con cautela e si fermarono dietro una piccola siepe.
Le finestre del piano terra erano aperte e prive di imposte. La villa sembrava disabitata e l’interno vuoto.
− Questo posto è abbandonato. Non si vede anima viva, − disse Bob, spiando da un buco nella siepe.
− Sbagliato, − disse Jupiter. − C’è un’auto nera parcheggiata laggiù, sull’altro lato, della casa, dove probabilmente c’è l’ingresso. La vedete?
− Sì.
− E non ci sono altre case nelle vicinanze, per cui probabilmente c’è qualcuno, dentro.
− Cosa facciamo? − chiese Pete.
− Proviamo ad avvicinarci. Cani da guardia non ne vedo in giro. Passiamo da quel buco nella rete ed entriamo nel giardino. Poi entriamo in casa da una delle finestre aperte.
Pete si morse le labbra: − Ho fatto male a chiederlo... − disse. Non che non sapesse tirar fuori un coraggio da leone, quando necessario, ma un’innata prudenza solitamente gli sconsigliava di prendersi rischi inutili.
Il buco nella rete non era molto grande. Pete, dopo essersi guardato bene intorno, ci strisciò dentro agevolmente, e poi tenne sollevata la rete per permettere a Jupiter di seguirlo nel giardino. Jupe faticò non poco, ma alla fine si ritrovò dentro anche lui, anche se graffiato e sbuffante. Subito dopo si girò e disse:
− No, Bob! Tu resta fuori. E se non ci rivedi entro mezzora, pedala fino alla cabina telefonica più vicina e chiama il comandante Reynolds! Avrà pure da fare, ma se ci dovessimo trovare nei guai, certamente verrà in nostro aiuto.
Bob annuì, e tornò ad acquattarsi dietro la siepe. Avrebbe preferito andare con gli amici, ma Jupe raramente si sbagliava, e se diceva che era meglio che uno dei tre restasse fuori ad aspettare, bisognava dargli retta.
− Ehi, un momento! − obiettò Pete. − Perché non fai restare me di guardia là fuori? Con la mia velocità in bici, in caso di bisogno, correrei al telefono più in fretta di chiunque altro!
− Pete, io voglio entrare in quella casa e vedere cosa c’è dentro.
− Lo temevo.
− La tua forza e la tua agilità ci faranno comodo. Chi lo sa quali pericoli dovremo affrontare?
Pete, annuì, lusingato. Jupe sorrise, e si avviò faticosamente a carponi verso la finestra più vicina. Con cautela si affacciò all’interno. Vide una grande sala polverosa, con le pareti scolorite, tranne che nei grossi rettangoli che una volta erano coperti da quadri o specchi appesi, e da armadi appoggiati al muro. La sala era completamente vuota. Anche le porte di legno che davano sul resto della casa erano state tolte.
− Lì dentro non c’è proprio un bel niente, − sussurrò Pete.
− Forse chi ha parcheggiato l’auto nera sta in un’altra ala dell’edificio. Proviamo a entrare.
− Sei matto?
− Dai, dammi una mano...
Scivolarono all’interno in silenzio. Avanzarono nella penombra e si accovacciarono con le spalle al muro, a lato del vano di una porta. Pete aprì la bocca come per dire qualcosa, ma il suo compagno lo zittì mettendosi un dito davanti alla bocca. C’era qualcuno, da qualche parte, non lontano da loro: delle voci maschili si muovevano all’interno della casa. I ragazzi, trattenendo il fiato, poterono ascoltare dei brandelli di conversazione.
− Non avresti dovuto far sgombrare tutto senza dirmi niente. Non mi va che si dia via della roba mia senza avvertirmi.
− Sciocchezze. Era tutta spazzatura.
Le due voci si allontanarono. Jupiter era perplesso. Una delle due gli era suonata vagamente familiare. Pete iniziò a scongiurarlo a gesti di andare via, ma lui scosse la testa. Aspettò qualche minuto, poi, dato che le voci non si erano fatte risentire, fece cenno a Pete di seguirlo.
Entrarono in uno scuro corridoio e iniziarono a percorrerlo lentamente. Non si vedeva anima viva e non si sentiva alcun rumore. Preso un po’ di coraggio, Jupe sussurrò:
− Ho fatto male a non portare la torcia elettrica. Non pensavo ci sarebbe servita, di giorno. Invece qui è tutto buio...
Non aveva ancora finito di dirlo, che inciampò malamente in qualcosa di metallico, una sorta di bidone, provocando un frastuono maledetto.
− Via! − disse sottovoce, e lui e Pete tornarono precipitosamente nella sala con le finestre che davano sul giardino, quella da cui erano entrati nella villa. Lì però dovettero bloccarsi, perché trovarono un uomo armato di pistola che intimò loro:
− Alt! Fermi o sparo!
L’uomo aveva i capelli bianchi e un aspetto deciso. Subito dopo un secondo uomo, molto più giovane, entrò di corsa nella stanza. Pete sgranò gli occhi:
− Il signor Seagull?
− I ragazzi del rigattiere? Che ci fate qui?
− Conosci questi due? − si stupì il vecchio con la pistola.
− Sì, purtroppo. Avanti, ragazzi, rispondete! Che ci fate qui?
Jupiter deglutì, e col tono di voce più voce più tranquillo del mondo, rispose:
− Ci scusiamo per l’intrusione. Abbiamo trovato la testiera del letto che cercava, signor Seagull. Siamo venuti a dirglielo.
− Di che diavolo sta parlando? − domandò il vecchio, piuttosto alterato. Liam Seagull per tutta risposta si rivolse a Jupiter a brutto muso:
− Non prendermi per i fondelli, ciccione. Io ti avevo lasciato solo un numero di telefono, ne sono sicuro. Come hai avuto questo indirizzo?
− Beh... Siamo investigatori! − rispose Jupiter rosso in volto. − Abbiamo indagato... e...
− Sciocchezze! Zio Adam, questi sono dei veri impiccioni, hanno una specie di agenzia con cui giocano a fare gli investigatori privati, e...
− Poi mi spiegherai, − tagliò corto il vecchio. − Ora va’ su, e prendi quel rotolo di corda nello stanzino. Leghiamoli.
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