Zio Titus, potrebbe essere più o meno fatto così? |
Tornano finalmente le fan fiction del Giallo dei Ragazzi! E torna in particolare il misterioso Arthur Robertson, emulo di Robert Arthur, autore di una nuova ed originalissima storia ispirata all'universo narrativo dei Tre Investigatori, due anni dopo averci deliziato con Pomi d'ottone e messaggi segreti. Ma stavolta il protagonista dell'avventura è nientedimeno che Titus Andronicus Jones! La nuova storia ci accompagnerà per tre avvincenti puntate, una a settimana, ogni lunedì. Vai con l'inizio della storia!
ZIO TITUS RISOLVE UN CASO
di Arthur Robertson
1
− Mi piacerebbe davvero poterti dare una
mano, e anche a Bob e Pete, ne sono sicuro, − mentì Jupiter Jones spingendo la
bici verso il cancello. − Ma, come ti ho già detto ieri, proprio non possiamo
venire con voi a Cape West stamattina.
− Ma perchè no? − domandò Titus Jones,
con le mani sui fianchi. − C’è forse un altro caso importante da risolvere?
− No zio Titus. Stavolta non è come le
altre volte.
− Quindi? Niente casi polizieschi? Niente
problemi da risolvere?
− Al contrario: i problemi da risolvere
ci sono eccome! Domani c’è un test di matematica! Per questo ci vediamo tutti e
tre a casa di Bob oggi, ma non come i Tre Investigatori. Oggi siamo solo i Tre
Studenti.
− Non pensavo che proprio tu potessi
avere problemi a scuola, Jupe! Non ti ho mai visto studiare la domenica,
tantomeno la matematica. Te la sei sempre cavata benissimo coi numeri!
− Io non ho problemi in matematica, zio
Titus. Ma Pete deve assolutamente sfruttare questo compito per recuperare,
altrimenti se la vedrà brutta. E le equazioni continuano a fargli girare la
testa. Perciò io e Bob dobbiamo dargli una mano. E poi esercitarci per il
compito farà certamente bene anche a noi!
Jupiter Jones montò in sella e pedalò,
lasciandosi alle spalle l’insegna della Bottega
del Recupero. Titus Jones avrebbe voluto obiettare ancora qualcosa al suo
brillante e saccente nipote, ma non trovando niente di sensato da gridargli
dietro, rinunciò. Lo lasciò andare e girò sui tacchi.
Trovò Hans e Konrad, i due giganti
bavaresi al suo servizio, seduti sul predellino del camioncino ad aspettarlo.
− Meno male che almeno voi due, ragazzi,
non mi avete abbandonato! Forza, andiamo! Non pensate che a me faccia piacere
lavorare di domenica, ma qualche volta è necessario.
− Che caldo!
− È stanco, signor Jones? − chiese
Konrad, vedendo che l’ometto si era seduto su una delle sedie e si asciugava la
fronte.
− No, no. È solo che queste maledette
pesano una tonnellata, e qui c’è un sole che spacca le pietre, e neanche un po’
d’ombra.
− Facciamo una pausa, capo? − chiese allora
Hans, l’altro gigante bavarese. Come suo fratello Konrad, trasportava a forza
di bicipiti una coppia di pesanti sedie di ghisa da giardino, uguali a quella
che Titus Jones aveva posato a terra per sedercisi su. Il camion della Bottega del recupero era parcheggiato nello
spiazzo davanti all’ingresso del vecchio Hotel, ma il vialetto bisognava
percorrerlo a piedi. Lo spiazzo era ingombro di tavoli, sedie e altri oggetti da
giardino, pesanti e pregiati, in attesa di esser caricati su.
A Titus Jones dispiaceva di non
concedere ai suoi lavoranti il meritato riposo, ma quella volta aveva proprio
dovuto fare un’eccezione: il padrone dell’ex-hotel sarebbe partito il giorno
dopo. Hans e Konrad avrebbero recuperato il giorno di festa perduto un’altra
volta. Certo che se anche Jupe, Pete e Bob fossero stati della partita, se la
sarebbero sbrigata molto prima, ma proprio quel giorno erano stati presi dalla
mania degli esercizi di matematica!
Il quartiere era un sobborgo piuttosto
isolato di Los Angeles, che dopo la chiusura, anni addietro, dei locali
cantieri per la fabbricazione di barche e motoscafi, si era ritrovato povero e
semidisabitato. Di solito Cape West era una specie di deserto, ma non quella
domenica. Oltre a loro tre, da qualche parte dovevano essere al lavoro anche
gli operai della manutenzione stradale, a giudicare dal rumore lontano di un
martello pneumatico. Inoltre era giornata di lavoro anche per gli uomini di
un’altra ditta di sgomberi e trasporti: davanti allo stabile di fronte era
parcheggiato un’altro camion coperto, simile al loro, e alcuni operai erano lì
a darsi un gran da fare con dei mobili poggiati su carrelli, intorno a un
negozio spoglio e privo di insegne.
− Sarebbe bello fare una pausa, ragazzi,
− disse Titus, − ma qui se non ci diamo una mossa ci metteremo tutto il giorno.
− Signor Jones, − disse Hans. − Ho paura
che dovremo fare due viaggi.
− Cosa?
− Sì: caricando queste sedie e tutta
l’altra roba che abbiamo già portato fuori, il camion sarà pieno. E nel
giardino dell’Hotel c’è ancora parecchia roba.
− Hans ha ragione, − confermò Konrad. −
Avremmo dovuto prendere l’altro camion.
Titus Jones corrugò la fronte e si
avvitò il baffo destro con le dita. Poi disse:
− Allora sarà meglio che uno di noi
riporti il camion in negozio, e ritorni qui con quello grande. Nel frattempo
gli altri due finiranno di portar fuori i mobili. Poi tutti e tre
caricheremo tutto sul camion grande. In questo modo risparmieremo tempo.
I due omoni annuirono.
− Vuole andare lei, capo?
− Non posso: io devo restare qui per
regolare gli affari con Mr. Adams, il proprietario di questa baracca di Hotel.
Verrà qui tra poco. Vai tu, Hans. Finiremo io e Konrad.
Ci
volle quasi un’altra ora, ma bene o male tutti i mobili furono accatastati sul
piazzale, e finalmente Titus regolò i conti con Mr. Adams, il proprietario
dell’ex-hotel, che gli aveva venduto gli arredi dell’enorme giardino a un
prezzo stracciato.
Poi Titus e Konrad spostarono due sedie
sotto l’ombra di un albero rinsecchito, sul limitare del giardino, e si misero
ad aspettare il ritorno di Hans.
− Quanto ci metterà, ancora? − chiese
Konrad.
Titus alzò le spalle: − Un’ora. Forse
meno.
L’unico passatempo disponibile era
guardare, attraverso i buchi nella siepe malandata, gli uomini della ditta di
trasporti che erano al lavoro nel negozio nello stabile di fronte. Era un
negozio in disuso, con le vetrine sporche e ricoperte dall’interno da fogli di
giornale e vecchi manifesti.
− Mi sembra uguale a quella che hanno
portato dentro poco fa, − disse Konrad, a un certo punto.
− Cosa?
− Quella scrivania, è la stessa di
prima.
In quel momento i trasportatori stavano spingendo
un’enorme scrivania dal loro camion al negozio.
− Vuoi dire che passano il tempo
portando su e giù gli stessi mobili dal negozio al camion e viceversa? Ma cosa
dici! Ti sarai sbagliato: questa dev’essere una scrivania nuova, e quella di
prima è quella vecchia che doveva essere sostituita e portata via.
− Eppure... Sono quasi sicuro che si
tratta della stessa scrivania.
− Beh, sarebbe una cosa davvero un po’
stramba!
− Forse si sono sbagliati, e...
− Forse ti sei sbagliato tu! Ah, ah,
ah...
Il gigante bavarese annuì e ridacchiò.
Poco dopo, però fu Titus a prendere la
parola:
− Ma da quante ore sono al lavoro,
quelli là?
− Non lo so, signor Jones. Certo è che
quando siamo arrivati noi, loro erano già qui.
− E non dovrebbero aver già finito da un
pezzo?
− Eh?
− Voglio dire: il loro camion è grande, ma non è mica infinito! Che diavolo stanno facendo?
Non dovrebbero averlo già finito di scaricare o di caricare, a quest’ora? Come
mai continuano ancora ad andare avanti e indietro dal camion al negozio?
Konrad non aveva risposte da dare. Ma
era chiaro che anche Titus Jones ormai era incuriosito dai movimenti che vedeva
davanti a sé.
Effettivamente quegli uomini caricavano
e scaricavano, caricavano e scaricavano... E a un certo punto anche Titus ebbe
l’impressione di aver già visto passare e ripassare gli stessi mobili. Possibile?
Ogni dubbio cadde quando i due videro passare
di nuovo la solita grande scrivania. Allora si sporsero increduli dalle sedie.
− Eccola! È lei!
− Incredibile! Ma cosa...
In quel momento la ruota del carrello
incontrò una buca, e la scrivania sbandò lasciando aprire e inclinare
all’infuori uno dei cassetti, dal quale caddero dei calcinacci, che uno degli
uomini si affrettò a raccogliere e a rimettere a posto. Poi il carrello con la
scrivania andò finalmente su per la passerella di metallo e fu caricato sul
camion. Sempre che non dovesse ritornare giù a farsi un’altra passeggiata nel
negozio, prima o poi!
− Signor Jones? Ha visto che roba?
− Sì, l’ho visto, l’ho visto. Ed è un
bel po’ sospetto, perbacco!
− Ma io non ci capisco niente! Perché
fanno così?
Titus Jones tornò ad attorcigliarsi il
baffo.
Nessun commento:
Posta un commento