lunedì 20 novembre 2017

Zio Titus risolve un caso - prima puntata

Zio Titus, potrebbe essere più o meno fatto così?
Tornano finalmente le fan fiction del Giallo dei Ragazzi! E torna in particolare il misterioso Arthur Robertson, emulo di Robert Arthur, autore di una nuova ed originalissima storia ispirata all'universo narrativo dei Tre Investigatori, due anni dopo averci deliziato con Pomi d'ottone e messaggi segreti. Ma stavolta il protagonista dell'avventura è nientedimeno che Titus Andronicus Jones! La nuova storia ci accompagnerà per tre avvincenti puntate, una a settimana, ogni lunedì. Vai con l'inizio della storia! 





ZIO TITUS RISOLVE UN CASO


di Arthur Robertson

1

− Mi piacerebbe davvero poterti dare una mano, e anche a Bob e Pete, ne sono sicuro, − mentì Jupiter Jones spingendo la bici verso il cancello. − Ma, come ti ho già detto ieri, proprio non possiamo venire con voi a Cape West stamattina.
− Ma perchè no? − domandò Titus Jones, con le mani sui fianchi. − C’è forse un altro caso importante da risolvere?
− No zio Titus. Stavolta non è come le altre volte.
− Quindi? Niente casi polizieschi? Niente problemi da risolvere? 
− Al contrario: i problemi da risolvere ci sono eccome! Domani c’è un test di matematica! Per questo ci vediamo tutti e tre a casa di Bob oggi, ma non come i Tre Investigatori. Oggi siamo solo i Tre Studenti.
− Non pensavo che proprio tu potessi avere problemi a scuola, Jupe! Non ti ho mai visto studiare la domenica, tantomeno la matematica. Te la sei sempre cavata benissimo coi numeri!
− Io non ho problemi in matematica, zio Titus. Ma Pete deve assolutamente sfruttare questo compito per recuperare, altrimenti se la vedrà brutta. E le equazioni continuano a fargli girare la testa. Perciò io e Bob dobbiamo dargli una mano. E poi esercitarci per il compito farà certamente bene anche a noi!
Jupiter Jones montò in sella e pedalò, lasciandosi alle spalle l’insegna della Bottega del Recupero. Titus Jones avrebbe voluto obiettare ancora qualcosa al suo brillante e saccente nipote, ma non trovando niente di sensato da gridargli dietro, rinunciò. Lo lasciò andare e girò sui tacchi.
Trovò Hans e Konrad, i due giganti bavaresi al suo servizio, seduti sul predellino del camioncino ad aspettarlo.
− Meno male che almeno voi due, ragazzi, non mi avete abbandonato! Forza, andiamo! Non pensate che a me faccia piacere lavorare di domenica, ma qualche volta è necessario.

− Che caldo!
− È stanco, signor Jones? − chiese Konrad, vedendo che l’ometto si era seduto su una delle sedie e si asciugava la fronte.
− No, no. È solo che queste maledette pesano una tonnellata, e qui c’è un sole che spacca le pietre, e neanche un po’ d’ombra.
− Facciamo una pausa, capo? − chiese allora Hans, l’altro gigante bavarese. Come suo fratello Konrad, trasportava a forza di bicipiti una coppia di pesanti sedie di ghisa da giardino, uguali a quella che Titus Jones aveva posato a terra per sedercisi su. Il camion della Bottega del recupero era parcheggiato nello spiazzo davanti all’ingresso del vecchio Hotel, ma il vialetto bisognava percorrerlo a piedi. Lo spiazzo era ingombro di tavoli, sedie e altri oggetti da giardino, pesanti e pregiati, in attesa di esser caricati su.
A Titus Jones dispiaceva di non concedere ai suoi lavoranti il meritato riposo, ma quella volta aveva proprio dovuto fare un’eccezione: il padrone dell’ex-hotel sarebbe partito il giorno dopo. Hans e Konrad avrebbero recuperato il giorno di festa perduto un’altra volta. Certo che se anche Jupe, Pete e Bob fossero stati della partita, se la sarebbero sbrigata molto prima, ma proprio quel giorno erano stati presi dalla mania degli esercizi di matematica!
Il quartiere era un sobborgo piuttosto isolato di Los Angeles, che dopo la chiusura, anni addietro, dei locali cantieri per la fabbricazione di barche e motoscafi, si era ritrovato povero e semidisabitato. Di solito Cape West era una specie di deserto, ma non quella domenica. Oltre a loro tre, da qualche parte dovevano essere al lavoro anche gli operai della manutenzione stradale, a giudicare dal rumore lontano di un martello pneumatico. Inoltre era giornata di lavoro anche per gli uomini di un’altra ditta di sgomberi e trasporti: davanti allo stabile di fronte era parcheggiato un’altro camion coperto, simile al loro, e alcuni operai erano lì a darsi un gran da fare con dei mobili poggiati su carrelli, intorno a un negozio spoglio e privo di insegne.
− Sarebbe bello fare una pausa, ragazzi, − disse Titus, − ma qui se non ci diamo una mossa ci metteremo tutto il giorno.
− Signor Jones, − disse Hans. − Ho paura che dovremo fare due viaggi.
− Cosa?
− Sì: caricando queste sedie e tutta l’altra roba che abbiamo già portato fuori, il camion sarà pieno. E nel giardino dell’Hotel c’è ancora parecchia roba.
− Hans ha ragione, − confermò Konrad. − Avremmo dovuto prendere l’altro camion.
Titus Jones corrugò la fronte e si avvitò il baffo destro con le dita. Poi disse:
− Allora sarà meglio che uno di noi riporti il camion in negozio, e ritorni qui con quello grande. Nel frattempo gli altri due finiranno di portar fuori i mobili. Poi tutti e tre caricheremo tutto sul camion grande. In questo modo risparmieremo tempo.
I due omoni annuirono.
− Vuole andare lei, capo?
− Non posso: io devo restare qui per regolare gli affari con Mr. Adams, il proprietario di questa baracca di Hotel. Verrà qui tra poco. Vai tu, Hans. Finiremo io e Konrad.

 Ci volle quasi un’altra ora, ma bene o male tutti i mobili furono accatastati sul piazzale, e finalmente Titus regolò i conti con Mr. Adams, il proprietario dell’ex-hotel, che gli aveva venduto gli arredi dell’enorme giardino a un prezzo stracciato.
Poi Titus e Konrad spostarono due sedie sotto l’ombra di un albero rinsecchito, sul limitare del giardino, e si misero ad aspettare il ritorno di Hans.
− Quanto ci metterà, ancora? − chiese Konrad.
Titus alzò le spalle: − Un’ora. Forse meno.
L’unico passatempo disponibile era guardare, attraverso i buchi nella siepe malandata, gli uomini della ditta di trasporti che erano al lavoro nel negozio nello stabile di fronte. Era un negozio in disuso, con le vetrine sporche e ricoperte dall’interno da fogli di giornale e vecchi manifesti.
− Mi sembra uguale a quella che hanno portato dentro poco fa, − disse Konrad, a un certo punto.
− Cosa?
− Quella scrivania, è la stessa di prima.
 In quel momento i trasportatori stavano spingendo un’enorme scrivania dal loro camion al negozio.
− Vuoi dire che passano il tempo portando su e giù gli stessi mobili dal negozio al camion e viceversa? Ma cosa dici! Ti sarai sbagliato: questa dev’essere una scrivania nuova, e quella di prima è quella vecchia che doveva essere sostituita e portata via.
− Eppure... Sono quasi sicuro che si tratta della stessa scrivania.
− Beh, sarebbe una cosa davvero un po’ stramba!
− Forse si sono sbagliati, e...
− Forse ti sei sbagliato tu! Ah, ah, ah...
Il gigante bavarese annuì e ridacchiò.
Poco dopo, però fu Titus a prendere la parola:
− Ma da quante ore sono al lavoro, quelli là?
− Non lo so, signor Jones. Certo è che quando siamo arrivati noi, loro erano già qui.
− E non dovrebbero aver già finito da un pezzo?
− Eh?
− Voglio dire: il loro camion è grande, ma non è mica infinito! Che diavolo stanno facendo? Non dovrebbero averlo già finito di scaricare o di caricare, a quest’ora? Come mai continuano ancora ad andare avanti e indietro dal camion al negozio?
Konrad non aveva risposte da dare. Ma era chiaro che anche Titus Jones ormai era incuriosito dai movimenti che vedeva davanti a sé.
Effettivamente quegli uomini caricavano e scaricavano, caricavano e scaricavano... E a un certo punto anche Titus ebbe l’impressione di aver già visto passare e ripassare gli stessi mobili. Possibile?
Ogni dubbio cadde quando i due videro passare di nuovo la solita grande scrivania. Allora si sporsero increduli dalle sedie.
− Eccola! È lei!
− Incredibile! Ma cosa...
In quel momento la ruota del carrello incontrò una buca, e la scrivania sbandò lasciando aprire e inclinare all’infuori uno dei cassetti, dal quale caddero dei calcinacci, che uno degli uomini si affrettò a raccogliere e a rimettere a posto. Poi il carrello con la scrivania andò finalmente su per la passerella di metallo e fu caricato sul camion. Sempre che non dovesse ritornare giù a farsi un’altra passeggiata nel negozio, prima o poi!
− Signor Jones? Ha visto che roba?
− Sì, l’ho visto, l’ho visto. Ed è un bel po’ sospetto, perbacco!
− Ma io non ci capisco niente! Perché fanno così?
Titus Jones tornò ad attorcigliarsi il baffo.
− Se solo Jupiter fosse qui... 


Nessun commento:

Posta un commento