E Hans e Konrad, non potrebbero somigliare a questi? |
Ed eccoci finalmente alla conclusione della nostra storia. Probabilmente Titus Andronicus Jones risolverà il caso... ma riuscirà anche ad eguagliare il suo vulcanico nipote in quanto a intelligenza e abilità? Lo sapremo subito. Francamente spero che qualche altro lettore si affianchi ad Arthur Robertson e a P.A. Mirabelli, e che questo blog possa tornare a pubblicare fanfiction originali e divertenti in quantità. Intanto, se volete rileggere quelle pubblicate in precedenza, cliccate qui. Siamo ai saluti. Buon divertimento a tutti e arrivederci (speriamo) a presto!
3
Titus mise le mani sui fianchi e aspettò
i due tipacci fermo in mezzo alla strada, con aria risoluta. Entrambi gli
uomini avevano un folto paio di baffi grigi, collegati con le basette. Come
aveva temuto, erano armati: quando gli si fermarono davanti uno tirò fuori una
pistola e gliela puntò contro. Titus cercò di mantenere un’aria sicura:
− È inutile, ragazzi! Dalla cabina ho
già chiamato la polizia! Saranno qui a momenti!
L’uomo con la pistola sembrò incerto sul
da farsi. Ma il suo compare sbottò:
− Sciocchezze! Quella cabina è vecchia e
pure mezza rotta. La conosco bene: il sistema di chiamate di emergenza non
funziona bene, ci si mette un sacco di tempo per prendere la linea!
− Stavolta ha funzionato! − mentì Titus.
− Tu sta’ zitto! Slim, mettigli queste e
portalo dal capo! Io corro a beccare l’altro, quello grosso!
Il compare dell’uomo con la pistola
corse nella direzione di Konrad, e Titus sperò che il suo intervento, se non
altro, avesse dato al bavarese il tempo di prendersi un po’ di vantaggio e di
riuscire a seminare l’inseguitore.
− Forza, vieni, tu!
L’uomo chiamato Slim lo sospinse davanti
a sè, e mentre camminava, gli tenne le mani dietro la schiena e gli chiuse i
polsi con un paio di manette. In un paio di minuti raggiunsero il negozio
vuoto, e il malvivente lo spinse dentro. Lì, dietro al bancone di quello che
doveva essere stato un tempo un negozio di ferramenta, Titus vide una vera
voragine: quasi tutto il pavimento era
stato scavato, e sotto al pavimento, in fondo a una buca a forma di piramide
rovesciata, quattro uomini erano al lavoro con martello pneumatico, piccone, pala
e secchi. Un armadio, riempito per metà di residui di scavo, stava sdraiato sul
limitare della buca.
− Capo!
− Li avete presi? − disse una voce, che
proveniva dal fondo del pozzo.
− Ce n’ho uno. All’altro sta dando la
caccia PJ.
− Sarebbe a dire che vi è scappato?
− Beh, sì, per ora sì... Però non può
aver fatto in tempo ad avvisare nessuno, e PJ gli è alle calcagna.
− Ma non lo ha ancora preso, giusto?
− Quando lo prende lo sistema lui. Lo
conosco bene, io. Io e PJ lavoriamo insieme da anni!
− Idioti! Sono circondato da idioti!
Abbiamo ancora più di un’ora di lavoro da fare, forse due, e corriamo il
rischio che la polizia arrivi qui da un momento all’altro!
− Ma... capo...
− Silenzio! Mollate tutto e filiamocela!
− E... PJ?
− PJ! Idiota! Perché non dici ad alta
voce nome e cognome, già che ci sei? Se quello non torna indietro in tempo per
filarsela con noi, che si arrangi!
− E... questo tizio?
− Imbavaglialo, legalo e buttalo in
fondo alla buca! Meriterebbe che ce lo seppellissimo dentro, ma purtroppo non
abbiamo tempo!
I quattro si arrampicarono fuori dalla
buca. Anche loro avevano baffi e barbe grigie. Per la fretta il povero Titus
non fu ulteriormente legato − aveva già le mani ammanettate − però gli fu
infilato in bocca un fazzoletto, fermato con una striscia di stoffa, e subito
dopo fu gettato giù nella voragine e rotolò dolorosamente fino al fondo.
Laggiù, si mise in ascolto, e udì un gran numero di bestemmie ed improperi, e
finalmente motori di automobile e stridore di gomme.
A quel punto Titus si alzò lentamente e
tentò di uscire da solo dalla buca, ma con le mani ammanettate dietro alla
schiena non gli sembrò una cosa possibile. Per cui si mise a sedere, e pregò
che Konrad se la fosse cavata e che qualcuno venisse presto a tirarlo fuori di
lì.
Passò abbastanza tempo perché gli
venisse l’urgenza di orinare, e ormai si stava chiedendo come diavolo avrebbe
potuto fare ad aprirsi la cerniera dei pantaloni con le mani ammanettate dietro
la schiena, quando finalmente vide qualcuno affacciarsi dal bordo della
buca.
− Chi c’è, laggiù?
− Hm... Hm... Hm...
Un uomo scese velocemente in fondo alla
buca e gli tolse il bavaglio.
− Cos’è successo?
− Una rapina in banca. Volevano forare
il soffitto del caveau con un martello pneumatico, passando da qui. Ma io e il
mio amico Konrad li abbiamo scoperti, e sono scappati!
− Konrad?
− Sì, è un bavarese, è immigrato in
America e lavora per me insieme a suo fratello.
Mentre spiegava questo, Titus si ritrovò
le mani libere.
− Ehi, come ha fatto?
− Conosco bene queste manette: sono molto
simili a quelle che uso io!
− Lei è un poliziotto?
− No, sono una guardia privata. Abito in
questo quartiere e lavoro proprio in questa banca.
Aiutandosi con le mani, Titus e la
guardia uscirono dalla buca. Fuori dal negozio il grosso camion era ancora al suo posto. I banditi lo avevano lasciato lì: carico di calcinacci com'era, non sarebbe stato utile per la fuga. Probabilmente lo avevano rubato poco prima di tentare il colpo, pensò Titus.
Udirono una sirena, e poco dopo
arrivò una macchina della polizia, seguita subito dopo da una seconda. Konrad
scese dalla prima auto, insieme con tre poliziotti, e subito corse incontro a
Titus.
− Capo! Sta bene?
− Sì, Konrad, grazie. E tu?
− L’ho seminato, e ho chiamato la
polizia dall’ufficio di Mr. Adams, come aveva detto lei.
− Meno male che non era ancora andato
via!
− Oh, era andato via, invece, ma io ho
sfondato una porta dell’albergo con una delle sedie di ghisa, e sono entrato lo
stesso.
− Bravo! Ben fatto!
− Lei è Titus Jones? − chiese uno dei
poliziotti.
− Sì, agente, sono io.
− Sono il capitano Vance, − precisò il
poliziotto. − E lei chi è? − chiese poi all’uomo che aveva aiutato zio Titus.
− Peter Jenkins, faccio la guardia giurata,
lavoro proprio per questa banca. Ho visto il negozio aperto, tracce di scavo, e
sono entrato a dare un’occhiata.
A Titus sembrò di udire dentro la testa un campanello
d’allarme, anche se non ben identificato. Mentre gli
altri poliziotti controllavano l’interno del negozio, il capitano Vance
continuò a interrogare Peter Jenkins.
− Ed era in servizio, adesso?
− No, la banca è chiusa ora. Sarò di
servizio domani mattina.
− E che ci faceva qui, allora?
− Abito in zona, facevo una passeggiata.
Mi piace questa zona del quartiere, così deserta e abbandonata. Mi piace star
qui da solo coi miei pensieri.
Titus Jones fissava con attenzione
l’uomo in volto, mentre parlava. L’uomo era completamente sbarbato, ma gli
sembrò di notare una zona più lucida tra il labbro superiore e le guance.
Titus in gioventù aveva lavorato per un
circo, suonando un’organo a vapore montato su un carretto, all’interno del
tendone oppure in giro per la città per far pubblicità agli spettacoli. Lui e
gli altri figuranti del circo dovevano spesso indossare costumi e
travestimenti, incluse barbe e baffi finti. E quando uno si toglieva barba e
baffi finti, per ore i residui del collante lasciavano la pelle più liscia e
lucida.
Titus prese la parola:
− I malviventi mi avevano ammanettato,
ma il signor Jenkins mi ha liberato dalle manette.
− E dove sono, ora, queste manette? −
chise il poliziotto, rivolto al signor Jenkins.
− Non lo so! Le ho date a lui! − rispose
questi, indicando Titus Jones.
Zio Titus respirò a fondo, poi disse:
− No, sono sicuro che non me le ha date.
O le ha ancora addosso, o se ne è disfatto da qualche parte qui in giro.
Capitano, temo proprio che quest’uomo sia uno dei rapinatori, quello che ha
inseguito Konrad, senza riuscire a prenderlo.
− Ma cosa dice? − protestò l’uomo.
− I suoi complici hanno nominato un
certo PJ, li ho sentiti. E PJ sono proprio le iniziali di Peter Jenkins. PJ ha
detto di conoscere bene la cabina telefonica, per cui vive o lavora da queste
parti, o entrambe le cose. È lui PJ: è tornato a casa e si è cambiato in fretta
e furia, e poi è venuto qui per sviare i sospetti da sé stesso.
− Non è vero!
− E si è anche tolto baffi e barba finti, ma può darsi che non abbia fatto in tempo a disfarsene, forse sono ancora a casa sua. Se si fa attenzione si vede ancora che li ha indossati fino a poco fa.
Peter Jenkins si accarezzò il labbro superiore, scuotendo la testa.
− Non è vero!
− E si è anche tolto baffi e barba finti, ma può darsi che non abbia fatto in tempo a disfarsene, forse sono ancora a casa sua. Se si fa attenzione si vede ancora che li ha indossati fino a poco fa.
Peter Jenkins si accarezzò il labbro superiore, scuotendo la testa.
− Tutto questo lo vedremo insieme in centrale,
− disse il capitano. − Ma non capisco cosa c’entra la sparizione delle manette.
− Me le ha messe un’altro dei
malviventi, un certo Slim...
− Slim è solo un soprannome, ed è molto
comune, − protestò Jenkins. − Uno che si fa chiamare Slim, potrebbe essere chiunque!
− Slim ha poi detto al “capo” di
conoscere bene PJ e di lavorare con lui. È probabile che Slim sia un’altra
guardia giurata che lavora per la banca, e le manette che ha usato gliele ha
date PJ: forse avrebbero potuto condurre a lui. Per questo PJ le ha fatte
sparire!
− Ma insomma! Io non sono PJ!
− Sicuro? Questa storia è da verificare
in centrale, insieme con le vostre deposizioni, andiamo!
− Un momento! − disse Titus Jones.
− Cosa c’è?
− Devo prima trovare un bagno. Vi prego,
è urgentissimo!
Erano ormai le cinque del
pomeriggio, quando Titus e Konrad terminarono di rendere le loro deposizioni
alla polizia di Los Angeles. Intanto le manette scomparse erano state ritrovate
sotto un’auto parcheggiata, e a casa di Jenkins era stato trovato anche il
necessario per travestirsi. PJ, la guardia giurata, era in stato di arresto, e il suo
collega, cui ben calzava il soprannome di Slim, era ricercato. Il capitano Vance riteneva probabile che PJ presto o tardi avrebbe confessato, e avrebbe detto anche i nomi del capo e degli altri complici della tentata
rapina.
Nel frattempo Hans aveva raggiunto i
nostri eroi alla centrale. Aveva preso il camion grande alla Bottega del
recupero, ma aveva tardato perché c’era una gomma a terra e aveva dovuto
sostituire la ruota prima di partire. Poi, non trovando nessuno ad attenderlo
all’ex-hotel, aveva dato un’occhiata in giro e aveva trovato gli uomini della polizia scientifica al lavoro intorno al negozio e alla banca. Così aveva saputo
dov’erano finiti suo fratello e zio Titus.
− Dovete rimanere a disposizione della polizia nei prossimi giorni, ma mi sembra che tutto sia stato chiarito, per ora, − disse il
capitano Vance. − Mi complimento con voi due: siete dei cittadini modello,
avete sventato un crimine. Vi ringrazio a nome della città di Los Angeles! E se c’è
qualcosa che posso fare per voi...
− Sì, capitano Vance! − rispose Titus. −
Potrebbe prestarmi il telefono, per favore? Abbiamo fatto tardi e mia moglie
sarà in pensiero.
− Ma certo. Prego.
Titus Andronicus Jones prese il
telefono, ma quando lo ebbe in mano, dopo un secondo di indecisione, anziché il
numero di casa, compose il numero degli Andrews.
− Pronto? Bob, passami Jupiter: oggi lo
farò morire d’invidia! Jupe? Ciao, sono zio Titus! Ti sto chiamando dalla
centrale della polizia di Los Angeles! Sai qual è la novità? Ho risolto un caso
poliziesco anch’io!
Molto simpatico, e anche molto ben scritto, come il precedente racconto ( peccato che nessuno dei due presenti elementi in apparenza soprannaturali...d'altra parte, nemmeno tutti i romanzi dei 3I li presentavano ).
RispondiEliminaIn conclusione, complimenti a "Mr. Robertson" !
Farò presente il tuo apprezzamento a Mr. Robertson
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